...Inseguendo ancora le Polverara...
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Primo piano di un gallo di Polverara.
Esemplare del Sig. Bruno Rossetto.
Chissà perché, ma è sempre in agosto che la
Gallina di Polverara sembra voler tornare a chiocciare nella mia vita di
allevatore. Sarà perché anche quest’anno sono alla fiera di San Rocco, a
Dolo, e tra tanti volatili cerco proprio lei con lo sguardo.
La cerco, e la ritrovo in una serie di gabbie piccole,
curate da una signora d’altri tempi, Donatella Busetto. La Polverara qui
è diversa da come l’ho conosciuta: altri caratteri sono emersi in questo
ceppo riproduttivo, caratteri che rimandano immediatamente al combattente
indiano, traccagnotto e robusto. Il gallo nero mi guarda torvo, mentre le due
gallinelle al suo fianco chiocciano sommessamente come due zitelle che
confabulino sottovoce tra loro.
La signora mi parla di sé, dei suoi animali allevati
liberi tra gli alberi e gli arbusti, senza recinzioni; assieme alle Polverara
sono in bella mostra anche una coppia di Tacchini bronzati dei colli Euganei,
una piccola rarità. Ci sono Cocincina dai tarsi piumati e Livornesi
bianche e querule. Ma la cosa più interessante sono forse i tanti
galletti ibridi, figli del gallo di Polverara e di gallinelle di ben meno
nobile… schiatta.
Primo piano di una coppia di Pavone
specifero (Pavo muticus).
A sinistra il maschio, a destra la
femmina.
Sono galli con la barba abbondante, con un abbozzo di
ciuffo, con una piccola cresta a rosa come quella di una Siciliana in
miniatura, o con una combinazione di questi caratteri.
E’ buffo. Questi incroci sembrano molto più
interessanti di tante galline di razza presenti alla mostra.
E penso alle vecchie galline di Polverara, quelle da cui
si dovette partire per tornare a selezionare gli animali che oggi costituiscono
le nuove speranze di questa razza. Da dove arrivavano? Che buco immenso nella
conoscenza della storia di questi volatili! Dalla fine degli anni ‘30 questi
animali sembrano svanire per tornare ad essere citati solo nei tardi anni ’80.
In rete, nessuna notizia di questo lungo periodo. Nessuna, o meglio, poche:
poche parole che trapelano dal sito dell’Istituto San Benedetto da Norcia e da
pochi altri, in cui si fa cenno ad un allevatore, Bruno Rossetto, che sembra
aver raccolto gli ultimi esemplari tipici. Di qui, si passa bruscamente alla
selezione di Antonio Fernando Trivellato, opera meritoria che ha permesso alla
razza di tornare in auge. Ma da dove venivano gli esemplari da cui si poté
ripartire con la selezione? Cosa ne era stato della gallina Polverara in quel
cinquantennio?
Il modo migliore per risalire alle notizie, l’ho imparato
a mie spese, è quello di andarsele a cercare. Ma non in rete o sui
giornali. Di persona. E’ un’occasione che regala innumerevoli sorprese.
Contatto allora il Sig. Antonio Bertin, che sulla storia
della Polverara ne sa decisamente più di tanti allevatori. Infatti
è stato lui, assieme ad altri, a ritrovare le fonti storiche e
letterarie che parlano di questo animale e ne tracciano la storia (seppur per
sommi capi) attraverso i secoli. Ed è sempre il Sig. Bertin a
raccontarmi ancora delle origini della razza, del monastero dove forse venne
selezionata per la prima volta, e di tante altre piccole e grandi storie legate
a questo pennuto. E ancora ricorre un nome. Bruno Rossetto. Mi da di che
pensare che così poco sia stato segnalato su di lui in rete, anche se
sembra avere un ruolo fondamentale, stando a tanti allevatori e appassionati,
nella salvezza di questa razza. Mi convinco sempre più che l’apporto di
quest’uomo deve essere stato sempre sottovalutato, nella rete di notizie che
circola in internet. E se la rete non da adeguate spiegazioni, tanto vale
cercarsele per conto proprio.
Così contatto il Sig. Rossetto per telefono. Mi
risponde un uomo la cui passione per i propri animali trabocca ad ogni parola,
e sembra non esaurirsi mai. Ci sentiamo due volte per telefono, e mi permetto
di chiedergli se posso andarlo a trovare per fargli una breve intervista. Lui
acconsente.
Dovranno passare un paio di mesi perché io possa
raggiungerlo nella sua abitazione. Gli telefono e lui mi da un appuntamento, di
lì ad un paio d’ore. Non conosco la strada, e arrivo con un ora
d’anticipo. Per fortuna c’è un bar aperto. Mentre sono seduto a bere
un’acqua gelida e a scrivere qualche appunto, mi chiedo chi sto andando ad
incontrare. Quanta esperienza può essere accumulata in una vita di
passione?
Suono. Il cancello si apre, lasciandomi entrare in un
lussureggiante giardino, mentre il Sig. Rossetto mi viene ad accogliere lungo
il viale.
E’ un uomo distinto, dal portamento impettito ed il volto
aperto e schietto. Due parole d’obbligo sul bellissimo giardino-foresta, e poi
iniziano le danze. Capisco da subito che tanto vale accantonare completamente
l’idea iniziale di usare un registratore. Sarebbe impossibile. Bruno Rossetto
parla con una passione travolgente come un fiume in piena, un fiume di notizie,
informazioni, storie. Mi adeguo, e tiro fuori la mia Moleskine. Così
almeno potrò senza problemi raccogliere appunti ed impressioni in ordine
sparso. E già così sarà complicato, perché ad ogni passo
sbuca un nuovo aneddoto, un nuovo ricordo. “Vedi quel galletto Nagasaki?” mi
fa, indicandomi un fiero, piccolo esponente di questa razza giapponese. “Quel
galletto è meglio di una chioccia. Ogni qualvolta gli si mettono vicino
dei pulcini, in capo a poche ore prende a curarli e a portarli in cerca di cibo
meglio di tante galline. Mai visto niente del genere.”
Mi torna in mente una vecchia razza, la famosa “galineta
pepola” che già negli anni ’30 era rara, e i cui capponi venivano usati
per curare i pulcini. Lui l’ha mai vista? “Sì, certo. Era bassa e con le
gambe corte, come la Nagasaki. E pensa che negli anni ’80 ci fu qualcuno che
provo a ricostituirla, proprio partendo dalla Nagasaki.”
A sinistra, maschio di Tacchino
bronzato dei colli Euganei, varietà bianca.
A destra, un galletto di razza
Nagasaki gironzola vicino lungo un sentiero.
Sono più di cinquant’anni di esperienze, quelle
che mi si riversano addosso. Non so nemmeno io cosa chiedere o dove fermarmi,
in questa vera e propria autostrada di informazioni. Mi racconta delle fiere,
delle vecchie glorie dell’agricoltura italiana, della variopinta panoplia di
animali, umani e non, che ha incontrato negli anni. Così, accanto al
gabbiano che allevò per la bellezza di 45 anni, docile come un
cagnolino, c’è spazio per la
famosa attrice che volle che al suo pranzo di nozze venissero servite solo
galline e galli padovani di pura razza, o per il Sebright argentato col becco
malamente storto, tarato dalla consanguineità di cui è frutto. Mi
racconta delle ansie per gli animali che si ammalavano, dei rimedi usati, delle
traversie per portare certi uccelli alle esposizioni e dei premi vinti, ma
senza ostentazione, con la naturalezza di chi ha vissuto certi momenti come una
parte integrante e naturale della propria vita. Mi parla delle Ciuffine Ghigi,
che gli fecero meritare un premio ad una mostra avicola, e che lui aveva
ricostituito (senza particolari indicazioni, guidato solo dal buonsenso)
attraverso l’incrocio di Padovane nane e Sebright argentate, più o meno
come le aveva prodotte il celebre Professore negli anni ’20. Per ogni razza e
per ogni uccello c’è una storia da raccontare. Gli chiedo delle due
vecchie razze padovane, la Boffa e la Cappellona, oramai scomparse.
“La Boffa me la ricordo bene, le allevava mia zia, sui
Colli Euganei. Ogni volta che andavo a trovarla, da ragazzo, la prima cosa che
faceva era quella di cucinarmi un uovo di Boffa. Erano belle galline, bianche,
con una cresta molto ridotta e una barba folta (N.d.A.: in padovano col termine
boffa si indicava proprio la barba). Potevano arrivare ai 3 chili, tre
chili e mezzo. Era così diffusa nel padovano! Non riesco a credere che
non ce ne siano più. La cappellona diventava anch’essa grande, aveva un
grosso ciuffo posteriore e una cresta simile a quella della Siciliana. Anche
quella si poteva trovare sui Colli Euganei.”
E continua, così, senza apparente fatica e senza
sforzo, a parlare della sua passione per gli avicoli. Bruno Rossetto sembra
essere erede di una conoscenza pratica, ben lontana dai testi accademici ma che
però rivela ancora pratico la grande capacità di osservazione di
generazioni di allevatori; conoscenza, questa, che a volte può far
sorridere i moderni avicoltori, divisi tra metodi di allevamento ultramoderni e
management, ma che ha dimostrato in decenni – decenni? Secoli! – di pratica una
sua indubbia efficacia. Così il Sig. Rossetto mi insegna ancora che le
uova vanno messe a covare (mai di venerdì!) in maniera che i pulcini
nascano con la luna crescente, per poter avere animali forti e robusti. E
ancora, forse non conoscerà le regole di Van Vleck della genetica, ma di
certo ha ancora molto da insegnare.
“…E così, se incroci un gallo Giava con una
gallina Moro a seta, otterrai degli animali simili alle moro a seta ma prive
della caratteristica peluria. Reincrociando gli ibridi rispettivamente con
Giava e Moro a seta, avrai di nuovo esemplari che mostrano i caratteri dell’una
e dell’altra razza, praticamente puri…”
E così, parlando e ascoltando, nel confronto con
quest’uomo energico volano quasi due ore. E in questo lasso di tempo riemerge
anche la storia delle Polverara.
A sinistra, un galletto di Cocincina
nana millefiori sembra dialogare con una Padovana nana.
A destra, due galline di Polverara. si
nota bene così la riduzione forte di barba e favoriti.
“Era il 1954, quando ho avuto le mie prime Polverara.
C’era una galinàra ( N.d.A.: le galinàre erano
quelle donne che portavano polli e uova a vendere di piazza in piazza e di
mercato in mercato) che tutte le volte che trovava qualche razza un po’ diversa
dalle solite, conoscendo la mia passione, me le portava a casa. E’ stato
così che un bel giorno ho ricevuto le mie Polverara. Da dove venivano?
Chi può dirlo? Questa signora girava parecchio, anche in Emilia, dove
allora c’erano tanti allevatori; ma andava anche di paese in paese, portando e
vendendo polli nostrani; non è escluso che gli animali li avesse
acquistati proprio a Polverara. Comunque, è da allora che allevo questa
razza. Nel corso degli anni ho rinvigorito il ceppo originario inserendo sangue
di Siciliana, per tornare ad avere le belle gambe verdi di questa razza; in
capo ad un paio di generazioni, poi, ho potuto eliminare i caratteri non
desiderati. In seguito ho immesso sangue di Combattente Indiano, per tornare ad
avere animali dal petto ampio e bello. Ma da una ventina d’anni non ho immesso
altro sangue. Nei primi anni, dalla coppia di Polverara nere nacquero degli
esemplari con colorazione cucula: che ciuffo, erano animali bellissimi!
Purtroppo, però vissero molto poco. Un paio d’anni, non di più.
In seguito incrociai le varietà bianca e nera, ottenendo la Polverara
blu, ma anche questi animali non vivevano più di un paio d’anni, erano
deboli.
Ho portato questa razza ad una quantità di fiere
ed esposizioni – l’ultima volta, negli anni ‘80, l’animale vinse anche il primo
premio. Guardala, è quella gallina laggiù: ha la bellezza di
venti anni giusti, ed ha smesso di fare uova solo l’anno scorso.”
Guardo l’animale, ed è impressionante vedere la
differenza con tante delle galline Polverara degli allevamenti moderni. Sono
animali decisamente più robusti, con un bel ciuffo; mancano, piuttosto
vistosamente, di barba e favoriti. Sono sempre state così?
“Sì, fin dai primi esemplari che ho allevato sono
sempre stati privi di barba e favoriti. Adesso hanno gambe scure, segno di
sangue Moro a seta, o più chiare, verde ardesia, mentre gli esemplari di
una volta avevano le gambe di un bel verde oliva. Ecco, guarda quella gallina:
è la figlia di quella di vent’anni. Tutte e due, da quando hanno
sviluppato gli speroni, hanno fatto solo figli maschi. Sono delle discrete
ovaiole… nei primi anni di vita fanno fino a 180 uova l’anno. Queste Polverara
sono delle chiocce meravigliose.”
E qui mi cade un altro mito. Le Polverara buone
covatrici?
“Si, gli animali che ho avuto erano delle discrete
chiocce. Questa nera”, e mi mostra una chiocciotta bassa e corposetta che
mostra l’inconfondibile andatura, “questa nera ad esempio è bravissima,
sta covando proprio ora.”
Il gallo, quattro anni, nero con lucidi riflessi viola e
verdi, mi guarda da dietro una rete.
“Ho dovuto isolarlo, dopo che ha ucciso suo padre. Stava
diventando troppo aggressivo. E poi le galline gli stavano strappando tutte le
penne del ciuffo, e non glie le lasciavano ricrescere.
A sinistra, una chioccia nera di
Gallina Polverara.
A destra, gallo nero di Polverara, in
muta.
Apre una porta, e i nostri piedi vengono travolti da una
marea di cagnolini di taglia minuscola, chi glabro, chi a pelo lungo, chi… non
si capisce bene nemmeno cosa sia. Sono bellissimi! “E vedessi come sono bravi a
cacciare i topi!”, mi dice il Sig. Rossetto. Entra nella porta e ne riesce con
in mano dei vecchi libri, libri consunti e “vissuti”, in cui alcuni disegni
mostrano in effetti la testa di un gallo Polverara pressoché privo di barba e
favoriti. Che strano. Molto di quanto so su questi uccelli qui non conta.
Ho molto a cui pensare. Tra le cose scoperte oggi,
c’è anche il fatto che gli esemplari da cui partì Antonio
Fernando Trivellato nella sua selezione provenivano dall’allevamento di
Rossetto. Una larga fetta di anni – almeno cinquanta – nella storia di questi
avicoli ha perso la coltre che ce la nascondeva. Ora so che se questi uccelli
sono arrivati a noi è stato per l’opera, silenziosa e priva di clamore,
ma ricca di passione, del Sig. Bruno. Di sicuro non fu l’unico ad allevare le
galline di Polverara, negli anni antecedenti alla selezione di Trivellato, ma
fu quasi certamente l’unico a farlo con l’occhio dell’allevatore che non vuole
vedere una varietà sparire, ma che mira anzi a migliorarla. Resta ancora
un buco, quello che va dalla fine degli anni ’30 al 1954, anno in cui Rossetto
stesso ottenne le sue Polverara.
Su questo periodo possiamo fare solo supposizioni. Dalle
foto dell’800 delle Polverara bianche dell’allevamento Pochini, di Firenze, e
dalla maggior parte delle illustrazioni e descrizioni dell’epoca, sappiamo che
le Polverara avevano barba e favoriti,
e zampe verde ardesia. Gli animali avuti da Rossetto avevano invece barba
assente e zampe verde oliva. Possiamo fare delle supposizioni?
Innanzitutto mi viene da pensare che il Sig. Rossetto non
sia stato il primo a introdurre sangue di Siciliana nell’albero genealogico
delle Polverara. Le gambe verdi oliva mi porterebbero a pensare proprio questo.
La presenza di sangue “estraneo” è certa a causa anche di due altre evidenze.
Innanzitutto la perdita di barba e favoriti: le Polverara prima le avevano. In
secondo luogo, dall’accoppiamento delle sue Polverara nere, il Sig. Rossetto
ottenne degli esemplari sparviero (cuculi). Ora, in passato erano state
segnalate altre varietà di Polverara – come la dorata o la camoscio – ma
mai la sparviero. Dovremmo quindi ipotizzare una varietà di colorazione
non menzionata prima? Non credo. Considerato che i genitori erano entrambi
neri, potremmo pensare piuttosto ad un tipo di barratura legata ad un gene
recessivo, portato quasi certamente da un genitore di razza differente.
Difficilmente avrebbe potuto trattarsi del gene B, che risulta incompletamente
dominante e quindi avrebbe comportato almeno uno dei due genitori barrato,
sempre a patto di non escludere l’influenza di un gene leaky o forse di
un gene modificatore. Possiamo quindi immaginare che negli “anni bui” il ceppo
di Polverara pervenuto poi a Rossetto abbia visto anche l’incrocio con una
razza con tale colorazione, chissà, forse (se proveniva davvero da
Polverara) un’esponente di quella razza veneta purtroppo estinta, la Cuccola,
appunto, che era così ben rappresentata e diffusa nel comprensorio di
Piove di Sacco.
In seguito, nella selezione effettuata negli ultimi anni,
dovrebbero essere stati immessi sangue di Moro a seta e di Padovana, o almeno
così credo, per tornare ad avere gambe più scure e barba e
favoriti.
Purtroppo devo andare. A malincuore lascio questa persona
generosa che mi ha concesso parte del suo tempo. Spero davvero di poterlo
incontrare di nuovo, al più presto. E spero pure che anche nel mio
allevamento, l’anno prossimo, possa esserci sangue nuovo e nel contempo antico.
Parte della meravigliosa marea canina
del Sig. Rossetto.